Il campo di Dora, ad 80 km. da Weimar, fu creato per alimentare di manodopera una gigantesca fabbrica sotterranea di missili balistici. Le condizioni igieniche di questo Lager erano molto precarie. Ogni baracca ospitava più di trecento persone ed il riprodursi di malattie era un problema quotidiano. Il lavoro nella fabbrica sotterranea aveva un durata di dodici ore giornaliere, a stretto contatto con Kapò che frequentemente punivano i deportati con venticinque frustate sul sedere. Il campo fu liberato dalle forze sovietiche.
Quello di Dora è l’unico campo di sterminio che è stato tenuto segreto per oltre 50 anni. La prima volta che si è parlato di Dora è stato attorno al 1963 quando la Germania aveva stanziato un indennizzo per i deportati politici dei Kz. Il Dora non era compreso nelle liste degli aventi diritto. Solo successivamente, grazie all’interessamento di autorità ed alle documentazioni ufficiali del campo, la Croce Rossa internazionale di Ginevra e quella di Arolsen, hanno riconosciuto il campo di Dora come campo di sterminio.
Il regista Antonello De Rosa racconta: “Ho voluto una messinscena essenziale e scarna per dare maggiore risalto alla forza attoriale ma soprattutto per dare maggiore drammaticità alle storie raccontate. I costumi che ho scelto rappresentano ma, soprattutto, racchiudono tutte le speranze, i sogni, i dolori e le delusioni di un popolo sterminato. Le musiche evocano il ricordo di quegli anni terribili”.












