“Traccia di Mamma” racconta il lento e implacabile tormento di una donna
smarrita nel labirinto della sua mente offuscata, una donna alla deriva,
schiacciata dalla follia e dalla memoria, da ricordi spesso abbaglianti, dal
dolore di una perdita assurda e maledetta, affaticata da un ruolo e da una
vocazione, da un’allucinazione che crede vera e reale e in cui continuamente
si perde.
Le mie donne si consumano in silenzio, carnefici e vittime, luce e oscurità,
trascinandosi per strade strette e buie e malinconicamente lunghe, senza
orizzonti, ignorando l’alba, i tramonti, il mare.
In una scenografia essenziale, attraverso un sapiente gioco di luci, prende
vita la parola, assaporata e restituita con forza nuova, rivissuta nella sua
brutale dolcezza e nella sua morbida crudezza.
E si odono le voci di donne, di una donna che incarna tutte le altre, nelle
righe sofferte di solo due dei quattro monologhi previsti, mischiate, confuse,
immerse in una rete di simboli e segni, che diventano un vero e proprio
collante tra l’immagine e la parola, tra il gesto e il senso.
Una pazza che crede di essere la Madonna, una donna sola che trova nel
telefono, l’unica salvezza e una madre che scopre con orrore la gravidanza
della figlia. La follia che spinge la donna in una tunica che è una camicia di
forza e in una camicia di forza che è una tunica, tra lo sfavillio dei paramenti
sacri, è senz’altro scandalosa, ma ciò che rende inquietante questa figura è la
sua inossidabile ostilità all’ipocrisia.
La vicenda si gioca tutta sulla trama delle affinità e dei contrasti: la
maternità di Adriana e quella della pazza del manicomio nascono da
un’insaziabile e avida fame d’amore, ma vengono rifiutate e calpestate da chi
vive la religione come superstizione stancamente reiterata; la donna che
ripudia sua figlia, al punto da imporle il suicidio, rivela con inaudita ferocia
il lato oscuro dell’essere madre, l’incapacità di perdonare, agli altri e a se
stessi.
Non resta che un groviglio inestricabile di rabbia sacrilega e follia
irriverente, su cui domina implacabile l’immagine di una Madonna-Bambola,
cui spetta l’ingrato compito di farsi adorare da un’umanità che fa scempio
dell’amore.
Antonello De Rosa
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